2001

Un ultimo giorno di festa


Ecco…
e per un altro anno dobbiamo spiegare per filo e per segno cosa rappresenta il nostro carro allegorico.
Come ogni anno dobbiamo far finta di credere che importi qualcosa a qualcuno di quello che diciamo.

* * *

Io ci ho pensato molto a questa faccenda della Festa di Primavera.
Ho pensato a tutta la gente che viene per passare un pomeriggio divertente, a farsi i fatti suoi, e ho pensato al motivo per cui dovrebbe importargli qualcosa dei carri che noi ci ostiniamo a fare sfilare da 100 anni.
Non siamo Viareggio, o Cento. Non siamo una carnevalata. Non siamo neanche la Sagra dell'Uva di Riolo Terme, se è per questo.
Produciamo carri allegorici seri, magari sconclusionati e ingenui, molte volte tristi, che nel migliore dei casi disturbano appena chi li guarda.
Sarebbe anche troppo.
Sostanzialmente, annoiamo il nostro pubblico.

* * *

Questa è l'ultima relazione che faccio.
Ne ho scritte tre, prima di questa, e credo ancora in ogni parola che ho scritto.
Le ho scritte perché pensavo che i carri fossero capaci di colpire nel profondo le persone che li guardavano; le ho scritte mettendo tutta la passione di cui ero capace in ogni riga.
Vedete, non è solo l'obiettivo di creare qualche cosa di bello a spingere gli ideatori dei carri.
Noi vorremmo dire qualcosa. Vorremmo farvi vedere il mondo attraverso i nostri occhi, vorremmo farvi notare che la realtà è composta da miliardi di realtà: vorremmo che per un attimo vi metteste nelle nostre mani e cercaste di seguirci nei nostri dolori e nei nostri alterchi.

* * *

Non presupponiamo di avere ragione.
Anche se in questo carro noi ci siamo messi in alto non è certo perché ci sentiamo superiori o perché crediamo di essere in qualche modo diversi.
Ci siamo messi lassù perché quello è il punto di vista migliore per vedere i nostri fallimenti.

* * *

I nostri fallimenti di gesso che finiscono nel dimenticatoio una volta terminata la sfilata.

* * *

Noi, in un certo senso, siamo anche la figura sotto la cascata, che cerca di rinascere purificata da una nuova fonte battesimale: pura, certo, ma anche sola e indifesa, esposta a tutti i dolori, nella speranza di rinascere in una forma più forte e duratura.

* * *

Quello che esprimiamo durante la Festa di Primavera è la parte incontaminata che ci è rimasta. In questo giorno di Festa, i nostri carri sono la fonte.
E sopra di noi, in cima, la Festa di Primavera vista con i nostri occhi: un urlo in cerca di qualcuno disposto ad ascoltarlo.
Non è un caso che la sua posizione sia quella più distante dal pubblico, credetemi.

* * *

Con questo carro smettiamo di essere l'entità astratta che lo produce ogni anno.
Io mi chiamo Cristiano, per esempio, e abito in Viale Neri, qui a Casola.
Claudio è il nome del ragazzo che ha progettato il carro, come gli anni scorsi.
E potrei citarvi nomi e cognomi di tutti quelli che hanno lavorato, se avessi più spazio, dalla A di Alberto alla V di Valentina.
Claudio non ha fallito del tutto. I suoi carri hanno vinto due volte.
Io ho fallito in pieno.
Nessuno ha fatto una piega, leggendo le mie relazioni.
I carri piacevano, ma cosa volessero dire, nessuno lo ha mai capito in pieno. Probabilmente per pigrizia. Ma del resto, questo è un giorno di festa, no? Chi vuole fare un briciolo di fatica, in un giorno come questo?
Così va la vita.

* * *

Noi, lassù in alto, abbiamo cercato di mettere uno spessore a quello che costruivamo, oltre che la solita, gradevole immagine piatta.
Umanità, è la parola che mi viene in mente se penso ai nostri lavori.
Nessuno se n'è accorto.
Prendete il bassorilievo posteriore, la parete arcuata.
E' un caso che sia l'ultima cosa che si vede?

* * *

Dio deve essere stupido stupido stupido se ci ha dotato di un chilo e mezzo di cervello solo perchè ci corazzassimo in continuazione, perché ci gravassimo di una zavorra inutile anno dopo anno.
Nasciamo tutti nudi e indifesi, e lanciamo in aria promesse.
Ma crescendo diventiamo lenti e pesanti, c'infiliamo in circoli viziosi, ci perdiamo in riti artificiali di purificazione e manchiamo puntualmente quelle promesse che avevamo lasciato al vento.

* * *

Sapete, esiste un mondo, ad un livello basso, vicino alla terra, in cui non servirebbe tutta questa faccenda dei carri allegorici, in cui non avrebbe senso tutto questo urlare contro lo schifo che ci circonda e di cui nessuno vuole parlare.
Un mondo che continua a vivere in luoghi nascosti in cui quel chilo e mezzo di poltiglia che ci hanno messo dentro la testa serve solo come ricettore di profumi, suoni aromi forme e colori.

Lo abbiamo rappresentato nel carro: se avete voglia di cercarlo, lo trovate facilmente. Come ho detto, è in basso, giù, dove l'acqua si riposa.
Oh, lo so, è un mondo molto primitivo, davvero, e povero probabilmente, ma ditemi solo una cosa: che c'è di più gratificante di far l'amore con la persona che ci piace o di dormire quando siamo stanchi?

* * *

Ma chi vuole rischiare?
Io che parlo tanto non ci riesco.
Il bello è che non so neanche come spiegarvelo.
Ad un certo punto le parole non servono a niente, diventano vuote; ridicole, nel migliore dei casi.
Sentite questa: "Chi cazzo se ne frega dei televisori, dei Computer, della globalizzazzione, delle catene di montaggio, dei telefonini e delle playstation, dello star system". Non suona falsa? Come posso dire… insapore? Anche se fosse vera, le parole la sminuiscono, non vi pare?
Tutta quella roba lì io la chiamo armatura. Armatura è una bella parola.
Anche zavorra, è una bella parola. E' densa.
Ascoltate: nella vita di tutti i giorni, io mi vedo un po' come la figura che è riuscita a spogliarsi ma non è riuscita, per vigliaccheria o paura, a scendere al livello più basso, in mezzo all'acqua, e ricomincia a recuperare l'armatura che aveva lasciato lungo il cammino.
Solo quando scrivo per i carri riesco a scendere in basso: nudo e indifeso, sì, ma puro, forte solo della mia semplice vitalità.
Al diavolo la zavorra.
Ma dura troppo poco per servire a qualcosa.

* * *

Lo so, sono noioso.
E' un giorno di festa.
Lo so.
Solo un'ultima cosa, poi finisco e tolgo il disturbo.
Che razza di mondo è questo, dove viviamo ognuno nel proprio guscio?
Un mondo che non è più una dimora da condividere ma un animale da cui difendersi, che mondo è?

* * *

Viviamo in un modo da far vergognare anche Dio.



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