2003

Più in alto delle scimmie, più in basso degli angeli


Vorrei che fosse più facile, spiegare tutto questo.
Ma le parole hanno dita grosse, e non riescono mai ad arrivare in quel punto nascosto in profondità dentro di noi.
E anche quando ci arrivano vicine, lo fanno con fatica, e si ammucchiano, come una piccola montagna, quando la Verità è tutto il contrario.
La Verità è molto piccola, e fragile, come uno di quegli animaletti di vetro dalle gambe sottilissime che si comprano come souvenir nelle botteghe.
Ci provo, comunque, ben consapevole dell’inadeguatezza dei miei mezzi.

Il nostro carro vorrebbe parlare di quello che siamo e di quello che non siamo più.
Di come una singola cosa ci abbia resi diversi da tutti gli altri esseri viventi.
Quella cosa è l’amore.
Come la verità, anche l’amore è fragile.
Fragilissimo, come il vetro soffiato o i fili d’erba.

La Nuova Società Peschiera presenta:
Più in alto delle scimmie, più in basso degli angeli.

Primati:
1) Ordine di Mammiferi Euteri, sono provvisti di una dentatura completa e hanno piedi prensili, pollici spesso opponibili alle altre dita, due mammelle sempre pettorali, corpo rivestito da una pelliccia, a volte dal colore vivace; noti com. col nome di scimmie. (Lat. Scient. Primates, dal lat. Tardo primas –atis, ‘principale’ perché occupano il primo posto nella classificazione zoologica.
2) Gli stadi più avanzati di un determinato campo, per lo più connessi a una posizione di prestigio e a una funzione, universalmente riconosciuta, di guida. ( p. filosofici, artistici, tecnologici)…
3) Risultati massimi ottenuti, nelle condizioni fissate dai regolamenti, in una determinata specialità.

Il mondo dei Primati

Prima cosa, pensiamo alle cose più importanti.
Pensiamo alla Storia.
Se gli uomini avessero scelto di rimanere selvaggi per sempre, avrebbero potuto farlo, no? Siamo forse rimasti nella giungla con le tigri? No. O nell'acqua, con gli squali? Neanche.
A un certo punto abbiamo lasciato la zampa calda del gorilla.
A un certo punto, abbiamo rinunciato ai denti da carnivoro e abbiamo cominciato a masticare un filo d’erba.
Abbiamo messo paglia e sangue, nella nostra filosofia, per molte generazioni.
E abbiamo finito col considerarci più in alto delle scimmie, ma più in basso degli angeli.
Non era una cattiva idea e l’abbiamo affidata ai disegni sui muri della caverna, ai geroglifici, ai libri e a tutte le forme d’arte che abbiamo inventato per raccontarci.

Così, alla fine, che cosa siamo?
Siamo creature che sanno, e sanno troppo.
E questo ci carica di un peso che ci impone una scelta: dobbiamo ridere o piangere.
Nessun altro animale può farlo.
Nessun altro animale deve decidere momento per momento, in ogni istante della sua vita, se deve essere buono o cattivo.

Immagino una notte di tanti anni fa, in una caverna accanto a un fuoco, quando uno di quegli uomini irsuti si deve essere svegliato all’improvviso e ha guardato la sua donna e i suoi figli come se non li avesse mai visti.
Migliaia di anni fa, per la prima volta, quell’uomo deve aver pensato che potessero morire, sparire per sempre da un momento all’altro.
Allora quell’uomo, che non era ancora un uomo, ha pianto.
E deve aver teso la mano nella notte verso la donna che un giorno sarebbe morta, verso i figli che l’avrebbero seguita.
E per un po’, il mattino seguente li trattò un po’ meglio perché capiva che come lui portavano in se il seme della notte.
Deve aver sentito quel seme come terriccio nel suo sangue, scindersi e riprodursi in attesa del giorno in cui avrebbe consegnato il suo corpo alle tenebre.
Ecco, quell’uomo seppe per primo ciò che noi spesso dimentichiamo: il nostro tempo è breve, l’eternità è lunga.
Solo con questa consapevolezza, vennero la pietà e la misericordia, e imparammo a risparmiare gli altri per i benefici più complessi e misteriosi dell'amore.

Qui le parole incominciano a essere troppo grosse, la Verità comincia a essere piccola e quasi irraggiungibile.
Cosa posso dire che abbia un senso, come posso spiegarmi?
Posso dirvi innanzitutto che l’amore è forse una causa comune, un’esperienza condivisa.
E’ difficile spiegare ciò che provo per il fatto che siamo tutti qui, su questo mondo che ruota attorno a un grande sole, il quale precipita attraverso uno spazio immenso e questo spazio precipita a sua volta attraverso una infinità ancora più grande, forse avvicinandosi o forse allontanandosi da qualcosa.
Ecco: condividiamo questo volo a un miliardo di miglia orarie.
Bisogna cominciare da piccole cause comuni.
Come quel dolce filo d'erba, migliaia di anni fa, o quella prima carezza nel buio della caverna.

Perché ridiamo quando i clown vengono colpiti dalle torte?
Perché sentiamo il sapore della vita.
Perché amiamo il ragazzino corre su un prato, in un giorno di marzo, con un aquilone in mano?
Perché le nostre dita ricordano il bruciore dello spago che ci graffia la mano.
Perché amiamo la persona che è al nostro fianco?
La sua bocca respira l'aria di un mondo che conosco; per questo amo la sua bocca.
Le sue orecchie sentono la musica che potrei cantarle tutta la notte, per questo amo quelle orecchie.
I suoi occhi si riempiono dei colori delle stagioni, così io amo quegli occhi.
La sua lingua conosce la pesca, il mirtillo, la menta e il cioccolato: io amo sentirla parlare.
La sua carne conosce il caldo, il freddo e l’afflizione: io conosco il fuoco, la neve e il dolore.
Esperienze condivise, sempre.
Milioni di tessuti che formicolano: il ricordo della felicità vi resta impresso per anni, e la sofferenza lascia cicatrici che non vanno più via.
Ma non siamo angeli, e tutto è destinato a perdersi.

“E poi ci fu la volta che fu la prima volta, e fu quando la bestia umana si alzò e le sue quattro zampe si trasformarono in due braccia e due gambe e, grazie alle gambe, le braccia furono libere e poterono costruire una casa migliore della cima dell’albero o della grotta di passaggio. Una volta eretti, la donna e l’uomo scoprirono che si può fare l’amore faccia a faccia e bocca a bocca, e conobbero la gioia di guardarsi negli occhi durante l’abbraccio delle loro braccia e il nodo delle loro gambe”

Più in alto delle scimmie, ma più in basso degli angeli.
Abbiamo abbandonato tutte le grotte, tranne una.
La paura della sofferenza è in un angolo oscuro della nostra mente.
Ricordate?
Siamo creature che sanno, e sanno troppo.
Ognuno di noi, alla fine, continua a essere solo dentro se stesso, chiuso in quella caverna, terrorizzato dalla propria ombra.
Non so spiegarlo meglio.
Quello che ci ha liberato, ci tiene prigionieri: la conoscenza di se, degli altri, del dolore e della gioia che possiamo subire o distribuire; la consapevolezza delle tenebre che ci aspettano.
Siamo innamorati di un amore che finisce.



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