1997

TRASH

C’è chi sostiene che la poesia sia morta in questo fine secolo, ricevendo il colpo di grazia dalla massificazione della cultura, dalla banalizzazione televisiva, dalle bordate di pubblicità, dagli assalti “nazional-popolari” di varietà e rubriche di informazione.

Attraverso questo linguaggio da spot tutto ha acquistato un sapore di uniformità. Molti programmi televisivi sono basati sullo spettacolo delle liti familiari, delle incomprensioni, degli amori finiti o feriti, o sugli antichi rancori. Il tutto fra i giudizi taglienti degli ospiti in studio, ancora meglio se incapaci di una grossolana misericordia. Le sfilate di moda sono diventate importanti al pari di un evento politico, e la politica uniformata anch’essa, sta diventando piano piano una questione di moda.

Un litigio, una caduta di stile e poi lo spot: modelle strabelle e stramagre, ragazzi eleganti e passivi che non hanno fame o non devono chiedere mai, il valore/veleno di essere comunque di tendenza, alla moda e indifferenti.

La televisione-trash crea il desiderio che la vita sia levigata e saponata come quella della pubblicità e che quei prodotti di vita ci spettino di diritto, cancellando in un colpo solo, quella sacralità dell’esistenza che si esprime attraverso la costanza, l’impegno, la responsabilità e a volte anche il sacrificio e la rinuncia.

Il “Tutto e Subito” imperversa e tra le pieghe cattoliche affievolisce la capacità di attesa e di costruzione di se stessi nei tempi giusti. Può accadere che chi non riesce a raggiungere le mete patinate proposte dalla televisione, rimanga deluso e frustrato dai falsi bisogni sempre inappagati.

Il consumo ci avvolge, consumiamo oggetti, ma anche persone, promesse, sentimenti, rispetto. Si distorce il senso della vita intesa come soddisfazione per ciò che si è, per ciò che si fa, per l’impegno impiegato.

L’informazione, cultura, intrattenimento, si trasformano in ottundimento, tra i lustrini di varietà e le sovrabbondanze, tra gli omicidi, gli stupri e le violenze dei film, le distorsioni amorose delle soaps e delle telenovelas e gli orrori reali, le guerre, le stragi, i soprusi contro i diritti dell’uomo e l’ambiente, la fame nel mondo.

La televisione ci rincuora, mette tutto vero e falso, in un enorme mixer. Ci serve un cocktail in una tavola imbandita, tette e cosce di prima qualità, polvere che non graffia, assorbenti con le ali, campane da raccattare, piatti e dolori in diretta.

I bisogni indotti sono il sostentamento del mercato, la pubblicità il suo spirito, un certo uso della televisione è la sua voce imbonitrice. Avere sempre presente il proprio impegno diventa essenziale per assumere un atteggiamento più distaccato.

L’abbraccio della televisione, l’alito del mercato, non sempre sono evidenti, ma sono subdoli e assopiscono nel tempo. La crescita economica, il mercato e le multinazionali, non devono interferire quantificando la vita come se fosse un valore di consumo, facendoci credere di valere ciò che possediamo e ciò che sembriamo.

I pochi uomini che governano il mondo con il denaro sorridono e incassano. Hanno inventato per noi un mondo che assomiglia maledettamente al Paese dei Balocchi. Impariamo ad essere accorti, dipende solo da noi se vogliamo o meno diventare dei ciuchi.


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