2004

Da: “STORIA DEI SOGNI CASOLANI”


Cap. XX

‘Con i piedi saldamente appoggiati sulle nuvole’


Pare che il modo migliore per catturare un unicorno sia portare una ragazza in una foresta, e aspettare.
Gli unicorni sono molto sensibili alle ragazze, e nessuno di loro resiste alla tentazione di posarle il capo sul ventre.
A quel punto, si può catturarlo con molta facilità.
E’ un po’ più difficile catturare i sogni.
I retini per cacciare le farfalle hanno maglie troppo larghe, per esempio.
Non bisogna farsi ingannare; possono sembrare grandi, i sogni, immensi quasi, ma in realtà sono piccole creature sfuggenti, tipo i girini, o i ragni d’acqua.
E sono molto preziosi, anche.
Sono così preziosi che vengono macinati di continuo.
A guardare bene, tutto ciò che ci circonda, tutte le persone che abbiamo intorno, noi compresi, sono circondate da sogni infranti.
Ma non scricchiolano come i cocci, quando li calpestiamo: i sogni sono fatti di una specie finissima di minerale, e non lasciano macerie.
Quindi, è molto più facile catturare un unicorno in una foresta, che acchiappare al volo un sogno.
I sogni sono anche commestibili. Hanno un alto valore nutritivo.
La speranza si nutre di sogni, per esempio. Li macina come farina.
La speranza consuma sogni come un neonato si nutre di latte.
E’ un mulino a vento a forma di cometa, che ci lascia l’illusione di poterne afferrare un giorno la coda.
Ci vogliono un sacco di chili di sogni, solo per nutrire quell’effimera illusione.
Questo non è un male.
Sperare è un’attività utile, come seminare.

I mulini-martello, invece, sono più complicati.
Loro macinano sogni solo per sopravvivere.
Molti smetterebbero di darsi tutto questo gran daffare, se i sogni circolassero liberamente; devono stritolarli prima che a qualcuno possa venire in mente di inseguirli.
Ci sono un sacco di mulini a forma di martello, in giro per il mondo, tanti quanti quelli a forma di cometa, ma molto più visibili. Di solito non li chiamiamo così, e spesso nascondono la propria identità.
A volte si camuffano da ‘Ufficio’ o ‘Borsa di Milano’; pare che una volta ne sia stato avvistato uno travestito da ‘bolletta della luce’. Non che siano cattivi, in se; il problema è quando diventano troppo ingombranti, quando iniziano ad occupare più spazio del necessario.
Ma non è solo questo.
C’è qualcosa di peggio, purtroppo.

Produciamo i nostri sogni migliori nel sonno, nell’unico momento della nostra vita in cui è impossibile realizzarli.
Sogniamo sdraiati, con il cuore che batte piano, ad occhi chiusi, le mani fuori dal nostro controllo e il sangue che scorre lento; è impossibile dare la caccia a qualcosa, in queste condizioni. E quando ci svegliamo, quando siamo pronti, di tutto quello che abbiamo immaginato non rimane che un ricordo sbiadito, una mappa stropicciata su cui è impossibile ritrovare il tesoro.
Gli esseri umani sono i peggiori dei mulini a vento.
Forse le nostre non sono gambe e braccia, ma pale che mettono in movimento la più potente delle moli.
Quasi fossimo inadeguati ai nostri sogni.
Come trovarsi in un bosco pieno di unicorni senza una ragazza per acchiapparli.
Come avere solo chiodi e legno, un po’ di grisolo e gesso, per costruire una trappola per sogni, che funziona solo un giorno, per poi scomparire per sempre, lasciando dietro di se il pulviscolo della scia di una cometa, delle assi da sistemare e i conti in ferramenta da pagare.
Trainiamo i nostri sogni con il trattore, con la banda che ci suona ‘Piumazzo’ davanti, e non troviamo niente di brutto, o di strano, nel fatto che scricchiolino, a forza di usarli.

Molto tempo fa, un soldato spagnolo, scrisse un libro bellissimo che forse parlava di questo.
Era un soldato sconfitto, chiuso nella segreta di un carcere, con una mano storpiata dalla battaglia.
Nonostante tutto fosse buio, intorno a lui, nonostante non potesse muoversi, tirò fuori da dentro di se le pagine più luminose e libere che fossero mai state scritte.
Raccontò di un uomo che sfidava i mulini a vento, e le prendeva di santa ragione.
Un uomo che mandò gambe all’aria il mondo, pur di vivere dentro al suo sogno.
Quell’uomo non eravamo noi.
Noi eravamo da un’altra parte, ci chiamavamo Sancho Pancho, e cavalcavamo un asino.
Ma è bello sapere che c’è qualcuno che ci prova.
E’ confortante.
Da qualche parte c’è qualcuno che vive così: con i piedi saldamente appoggiati sulle nuvole.

(Il titolo non è nostro. Fortuna che non ci paghiamo i diritti d’autore. E’ di Ennio Flaiano, grande esperto di gioco d’azzardo, sogni e assegni a vuoto. Uno di noi, insomma)



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1 commento:

Claudia de Sierra ha detto...

Bellissima pagina !!!!!! il carro allegorico è una belleza mi piace molto la relazione tra il unicornio, i sogni, il martello, ce motlo per rifflettere su queste idee di più oggi mai che mai e fare una festa in onore alla primavera è una idea bellissima me viene in mente Botticelli e tante alegorie alla primavera la rinascita di tutto.