2006

Nella filosofia orientale lo yin e lo yang rappresentano l’eterna contrapposizione tra luce ed oscurità.
Non si escludono a vicenda, ma si compenetrano e si compensano.
Il bene racchiude il male ; l’ odio definisce l’amore.
Non sono esattamente la faccia diversa di una stessa medaglia.
Prendete una mano.
In sé, non è né buona né cattiva.
Diventa l’una o l’altra, a seconda che la usiamo per accarezzare o per colpire .
Come vedrete, abbiamo raffigurato il buono che è in noi con delle ragazze, perché abbiamo voluto riparare nel nostro piccolo a una sfilza di ingiustizie. A cominciare da Dio, che è raffigurato sempre come un vecchio con una lunga barba bianca, e non da una vecchietta dai capelli candidi, i primi esseri viventi in tutte le storie sulla creazione sono maschi , così come tutti i supereroi e la stragrande maggioranza di quei personaggi che nei libri, si dice, hanno fatto la Storia.
Tutta colpa di Eva : a quanto pare era troppo golosa di mele.
Sconta ancora la pena di averci fatto cacciare da quel gran buffet a scrocco che era il giardino dell’ Eden.
Poco importa che chi ha fatto la Storia, o chi l’ha subita, venga da quel ventre.
Come il nostro cuore, anche la nascita di un essere umano è un immenso paradosso.
Yin e Yang, no ?
Il dolore più forte, che annuncia la gioia più grande.
Aiuta a credere che è la vita, più della morte, a non avere limiti.

La cruna dell'ago

Da bambino restavo incantato guardando le donne che rammendavano la biancheria in cortile.
Il pianeta Terra era molto piccolo e pulito, allora, e io mi illudevo di conoscerlo tutto quanto.
Le donne inumidivano il filo tra le labbra, dopo averlo pescato dal cestino, e cercavano di farlo passare attraverso la cruna.
Stavo molto attento.
Ero un uomo di mondo, a quei tempi, ma evidentemente non abbastanza.
Mi sembrava di assistere a un rito complicato, come se stessero tentando di dirmi qualcosa che mi sfuggiva. Un alfabeto che non riuscivo a decifrare.
Pensavo che fosse soprattutto una questione di mira , avvolta però in un mistero.

Poi il mondo è cresciuto. E’ straripato da tutte le parti.
La strada per il cimitero non finiva nel nulla ; arrivava a Faenza.
Alcuni miei amici sostenevano che poteva portarti anche più lontano.
Incredibile.
Il mondo usciva dai giornali, urlava alla radio e a volte ti balzava in salotto senza chiedere permesso, passando direttamente dal televisore.
Era popolato da gente strana.
Per loro non era per niente grande.
Non ne avevano abbastanza, e volevano tenerselo tutto per sé.
Erano disposti a uccidere, per questo.
Ragazzi simili a noi in tutto e per tutto, non alieni piombati da chissà quale pianeta.
Una bella mattina prendono la metropolitana, come tutti i giorni, e invece dei libri di scuola, nello zainetto hanno dei fili elettrici, un detonatore e un po’ di esplosivo.
Ecco cosa succede quando ti fai fare la cartella dalla morte, pensavo.
Non so se lo sapete, ma i detonatori che usano si chiamano “a farfalla”.
Costano qualche euro e li producono in Asia.
Io non ritornerò mai più l’uomo di mondo che ero da bambino, però questa cosa mi ha fatto pensare.
A quella teoria secondo cui i battiti d’ala di una farfalla nell’ oceano Indiano possono trasformarsi in un uragano dall’altra parte della Terra.
Londra e Madrid, mi dicevo, pensa un po’.
L’altra parte della Terra era il marciapiede di una metropolitana o un treno di pendolari, nell’ora di punta.

Il mondo è grande sul serio, e non puoi illuminarlo tutto.
Metà resta sempre all’ombra, no?
C’è il male in agguato, a ogni passo, pronto ad acchiapparci al volo.
E chiunque può scegliere di percorrere quella strada al buio, quella che incomincia con il battito d’ali della farfalla.
Perché quando decidi di odiare qualcosa, quando decidi di odiarla fino in fondo, la strada da seguire è molto semplice.
Non devi nemmeno prenderti la briga di seguire il filo del tuo destino.
Niente più preoccupazioni ; la rabbia si mangia tutto quanto.
Deve essere a quel punto che la morte incomincia a farti la cartella per andare a scuola. Prima toglie i libri, poi la merenda, e quando non rimane più niente incomincia a riempirla con i suoi marchingegni.
E se hai un po’ di tempo per pensarci su, magari è solo un attimo prima della fine ; e ti ritrovi in agguato, nell’ora di punta, ma è troppo tardi per tornare indietro, semplicemente perché non c’è più un “dietro”.
Hai consumato tutto, seminato per strada ogni alternativa e quel po’ di destino che ti potevi costruire si è perso per sempre, come un rotolo di filo ruzzolato fuori dal cestino.
E allora chiudi gli occhi, respiri un’ultima volta e mandi tutto a gambe per aria.

Io cerco di non perdere il mio filo, come quelle signore in cortile.
Certo, a volte si mette di traverso ; sembra farlo apposta per farmi lo sgambetto.
In romagnolo c’è una parola che indica con precisione quello che faccio. Io mi ci ingambarello.
Non è che inciampo.
Inciampare è una questione indipendente dalla nostra volontà.
Chi si ingambarella fa tutto da sé, come quando da bambini si impara a camminare.
E’ come cadere con dolcezza.
Mi ingambarello negli errori, nei compromessi, nell’ ipocrisia ; a volte faccio finta di non vedere e di non sentire.
Lì, mi accorgo di essere molto vicino al buio, però quelle stesse gambe impacciate mi rimettono in piedi.
A volte mi sembra di essere un kamikaze al contrario.
Sacrifico la mia vita un po’ alla volta, giorno dopo giorno, e il mio zainetto della scuola si svuota e basta.
Cerco di lasciare quel poco che posso a chi incontro.

E’ un modo come un altro di seminare.
Qualcosa prima o poi crescerà, penso.
Del resto, ci sono sempre un sacco di alberi in giro a dimostrare che non tutti i semi vanno perduti.
A volte mi sembra di vederne anche sui marciapiedi della metropolitana, o alle fermate dell’autobus, nonostante tutto.

Quando mi prende lo sconforto, penso a quelle signore con i loro cestini in cortile.
Non era solo biancheria da rammendare.
In realtà, stavano semplicemente prendendosi cura di qualcosa.
E’ quello che nel mio piccolo cerco di fare , anche se a volte non mi viene bene.
Ma ci metto tutto me stesso.
Il mondo non ritornerà più quel luogo piccolo e pulito che conoscevo da bambino, questo lo so.
Continuerà ad essere pieno di luoghi oscuri e di gente in agguato.
Però io non perdo di vista il mio filo.
Quelle donne, in cortile, più passa il tempo e più mi sembra di capire cosa facevano.
Non era una questione di mira.
Era pazienza.
La pazienza è la versione umana della speranza.
Mi prendo cura del mio filo, perché so che un giorno tornerà utile per rammendare questo mondo che va’ a brandelli.



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